13 Luglio, 2017|NEWSLETTER BVS-P|

FARSI UN’IDEA

PDTA

Tag         governance       regioni     modelli  assistenza      accesso

Un punto centrale dell’intero processo di riforma del Servizio sanitario nazionale avviato con la legge 189/2012, nota anche come “Decreto Balduzzi”, tesa al completo riordino del SSN e alla definizione di una governance della sanità del tutto innovativa, è costituito dalla adozione dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) come presa in carico della cronicità e come garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il provvedimento intende superare la governance del passato caratterizzata dai cosiddetti “budget a silos”. Per effetto delle nuove normative, di PDTA si discute sempre di più, anche se la loro implementazione nella sanità regionale italiana è un problema di non facile soluzione, perché complessa è l’armonizzazione tra bisogni assistenziali, linee guida, misurazione e valutazione dei problemi attraverso l’analisi dei dati che scaturiscono da quella che è oggi definita real world evidence (RWE).


FARSI UN’IDEA DEI MODELLI DI RIORGANIZZAZIONE DELLE CURE PRIMARIE
L’idea dei PDTA è strettamente legata al Chronic care model che –sviluppato negli Stati Uniti a partire dall’esperienza di Kaiser Permanente – è stato successivamente applicato in diversi contesti nazionali. Per un approfondimento dei casi di Germania e Brasile vedi i contributi pubblicati su Salute Internazionale.
Chronic care model in salsa tedesca, di Gavino Maciocco
Chronic care model in salsa brasiliana, di Andrea Canini

Le applicazioni del Chronic care model al sistema sanitario inglese sono oggetto di studi di lunga durata di Chris Ham, professore di Health policy and management all’università di Birmingham e dal 2010 chief executive del King’s Fund britannico.

Per un inquadramento generale: Ham C. The ten characteristics of the high-performing chronic care system. Health economics, policy and law 2010;5(1):71-90. [Cambridge University Press]

Per comprendere la vision riguardo le cosiddette accountable care organizations: un documento curato dal King’s Fund.

Per considerare i risultati attesi, le possibili critiche e le aspettative dei promotori della riorganizzazione delle cure primarie in Inghilterra: Alderwick H, Ham C. Sustainability and transformation plans for the NHS in England: what do they say and what happens next? BMJ 2017;356 :j1541

Infine, suggeriamo la lettura del documento Improving quality in NHS system, a cura di Chris Ham, Don Berwick e Jennifer Dixon.


I PDTA rappresentano la contestualizzazione di linee guida relative ad una patologia o a una problematica clinica nella specifica realtà organizzativa di una singola azienda sanitaria o di un insieme di più ASL. Sono quindi modelli locali di percorsi di presa in carico del paziente che, sulla base delle evidenze di letteratura sintetizzate in linee guida e in relazione alle risorse economiche e organizzative disponibili, partono da un’analisi degli scostamenti tra la situazione attesa e quella osservata in funzione del miglioramento. I PDTA sono strumenti che permettono di delineare, rispetto ad una patologia o un problema clinico, il miglior percorso praticabile all’interno di un’organizzazione. I PDTA sviluppati in setting differenti presentano sì delle costanti perché basati sulle linee guida internazionali per una data patologia, ma d’altro canto ‒ proprio in virtù del loro legame con il territorio e dell’indispensabile esigenza di contestualizzazione ‒ presentano un’elevata variabilità. Tale eterogeneità in relazione alla zona geografica, alle risorse disponibili e all’orientamento professionale degli operatori sanitari determina importanti differenze degli assetti di cura, con possibili mancati esiti positivi e costi evitabili.

Come costruire un PDTA? La metodologia non è particolarmente diversa da quella che informa la preparazione delle linee guida di pratica clinica. Un elemento di distinzione può essere nella maggiore enfasi data alla contestualizzazione del percorso rispetto alle esigenze di una particolare popolazione o di uno specifico territorio. Una scheda sintetica è disponibile sul sito della sanità della regione della Nova Scotia, in Canada [vedi]. La regione australiana del Queensland propone invece una serie di domande e risposte che spiegano obiettivi e metodi dei clinical pathway [vedi].

Per definizione, i PDTA consentono di analizzare e definire i processi erogati per problema di salute. Sono lo strumento con cui le regioni e le ASL, mediante una strategia integrata che coinvolge diversi professionisti e funzioni, definiscono la modalità di erogazione dell’assistenza centrata sul paziente, la sua presa in carico attuata secondo il contesto e le risorse disponibili. Da un punto di vista teorico i PDTA consentono di definire gli obiettivi, i ruoli e gli ambiti di intervento, garantire la chiarezza delle informazioni fornite all’utente e dei compiti assegnati agli operatori, migliorando la costanza, la riproducibilità e l’uniformità delle prestazioni erogate, facilitando la flessibilità e la prevenzione degli eventi straordinari. I PDTA inoltre favoriscono la presa in carico del malato, aiutando la continuità assistenziale tra ospedale e territorio. Ma risulta fondamentale all’interno dei PDTA l’individuazione dei sistemi di valutazione dell’attuazione dei PDTA stessi e dei risultati ottenuti, definendo con chiarezza gli indicatori impiegati. Quando si valutano gli effetti derivanti dall’implementazione di un determinato PDTA è di estrema importanza affiancare agli indicatori di esito e processo anche indicatori di tipo organizzativo.


FARSI UN’IDEA DELLA STORIA DEI PERCORSI ASSISTENZIALI
L’esperienza italiana dei PDTA è da inscrivere nel lavoro internazionale di elaborazione dei clinical (o critical) pathways riguardo i quali è disponibile un’ampia letteratura. Ecco, di seguito, la segnalazione di tre classic paper utili a inquadrare la materia.

Kinsman L, Rotter T, James E, Snow P, Willis J. What is a clinical pathway? Development of a definition to inform the debate. BMC Medicine 2010;8(1):31.
Campbell H, Hotchkiss R, Bradshaw N, Porteous M. Integrated care pathways BMJ 1998; 316 :133.
De Allegri M, Schwarzbach M, Loerbroks A, Ronellenfitsch U. Which factors are important for the successful development and implementation of clinical pathways? A qualitative study. Qual Saf Health Care 2011;20(3):203-8.


La costruzione e l’implementazione dei PDTA è suggerita nella determinazione dell’assistenza alle malattie croniche. Questo è l’approccio che caratterizza anche il Piano nazionale della cronicità.  Tipicamente, lo scompenso cardiaco costituisce una delle patologie più studiate, in primo luogo per la rilevanza epidemiologica: nel 2015 hanno causato circa 185 mila ospedalizzazioni e quasi un milione e settecentomila giorni di degenza, prima causa di ricovero in Italia. Le linee guida messe a punto dalle società scientifiche internazionali o dalle istituzioni governative non sono, però, sufficientemente omogenee per dare ai professionisti sanitari indicazioni univoche sulle modalità di diagnosi, cura e follow-up della malattia. Per esempio, le linee guida della European Society of Cardiology pubblicate nel 2016 sono uno strumento chiaro e preciso per quanto riguarda le strategie di prevenzione, gli algoritmi terapeutici, i criteri di ricovero e il management extra-ospedaliero dei pazienti con scompenso cardiaco, ponendo al contempo un forte accento sull’assistenza multidisciplinare, sul coinvolgimento del paziente nel monitorare la terapia, su follow-up regolari e migliore accesso alle cure. Ma l’applicazione di queste linee guida è ancora incompleta e poco convincente: la criticità maggiore deriva da un’assistenza sanitaria ancora molto concentrata sul ricovero e slegata dalla cura a livello territoriale. Diverse regioni italiane hanno messo a punto PDTA in tema di scompenso cardiaco che differiscono tra loro in diversi passaggi, addirittura a partire dalla individuazione di prevalenza della patologia, passando per le indagini previste per la diagnosi e i trattamenti farmacologici, per arrivare alla organizzazione del ricorso alle diverse strutture sanitarie disponibili.

L’analisi della variabilità dei PDTA mette in evidenza delle differenze anche all’interno di una stessa regione. Lo rivelano per esempio i primi dati disponibili di un progetto della Rete oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha condotto una valutazione dei PDTA nel carcinoma della mammella in Piemonte. Si tratta di un progetto biennale volto alla costruzione di un modello di analisi per la valutazione e il governo dell’inappropriatezza clinica ed economica nell’ambito dei PDTA del tumore della mammella (e altri tumori). L’obiettivo è realizzare una riduzione dell’inefficienza e un maggiore finanziamento dell’innovazione, attraverso l’analisi e la definizione di specifici indicatori (KPI) di diagnostica, chirurgia, terapia farmacologica e follow-up. Il progetto prevede quattro fasi di attuazione. Il primo step è stato l’individuazione di alcuni indicatori per il carcinoma della mammella e del colon-retto. La seconda fase, che sarà completata entro l’estate 2017, prevede l’estrazione dei dati da flussi amministrativi e clinici su database aziendali e regionali. A questa seguirà l’organizzazione di incontri per il monitoraggio periodico dei risultati e la loro analisi, con eventuale rivalutazione degli indicatori; contemporaneamente saranno emessi ogni 12, 18, 24 mesi dei report redatti dalla Asl Cn2 e pubblicati dalla Rete oncologica sul proprio sito. Infine la quarta e ultima fase prevede la presentazione dei risultati in convegni ad hoc.

Il Ministero della salute sta dedicando non poca attenzione ai PDTA e alla necessità di rendere omogenei i percorsi di cura come fattore essenziale per l’equità dell’assistenza. Sicuramente i PDTA possono essere uno strumento molto importante sia per supportare le attività di programmazione sia per la valutazione degli interventi. Al momento però i percorsi implementati sono tanti e non sempre coerenti con le linee guida a disposizione. Esiste una elevata eterogeneità a livello territoriale, funzione del peso organizzativo dei professionisti (specialisti, medici di medicina generale, società scientifiche), dell’assetto e organizzazione della rete assistenziale e di altri fattori. È essenziale promuovere la comparabilità tra regioni e la coerenza con i sistemi nazionali di valutazione: verifica di equità di accesso, appropriatezza ed efficacia.


FARSI UN’IDEA SULLO STATO DELL’ARTE IN ITALIA SUI PDTA
Come valutare i PDTA nelle politiche regionali? Con gli strumenti dell’integrazione dei flussi informativi, con un sistema di indicatori di performance (processo, esito e risultati intermedi e finali), con un supporto alla verifica intra-regionale di strategia, attuazione, omogeneità nel territorio. Di recente è stato costituito anche un consorzio collaborativo che ha l’obiettivo di valutare caratteristiche e variabilità dei PDTA. Core (Collaborative outcome research) Lab è nato da una collaborazione tra il Consorzio interuniversitario Cineca, l’Istituto superiore di sanità, col patrocinio della Conferenza Stato-Regioni e delle Provincie autonome, FIASO e FederSanità.

http://pdtalab.coreteam.it/


La valutazione dei PDTA a livello regionale e a livello nazionale deve essere effettuata in termini di appropriatezza, esito clinico, equità ed impatto economico. L’obiettivo generale è la valutazione comparativa di modelli assistenziali per le patologie croniche ed acute allo scopo di identificare la strategia migliore in termini di efficacia (effectiveness), costo-efficacia (cost-effectiveness) e sostenibilità economica. Occorrono dunque, riepilogando, nuove regole di sistema che accompagnino l’evoluzione dei sistemi sanitari regionali verso percorsi integrati e multidisciplinari.